di Diego Vian
Dopo l’articolo sul pensiero freudiano, non mi potevo esimere dal mettere in luce l’innovazione portata da uno dei più importanti allievi di Freud, Carl Gustav Jung, che nel corso delle sue ricerche ha strutturato un pensiero, che se da un lato lo ha allontanato dal suo maestro e mentore, dall’altro rappresenta ancora un’innovazione.
Questo, tuttavia, non ci mette nelle condizioni di estromettere Carl Gustav Jung dal movimento psicoanalitico, poiché, al di del differente impianto teorico junghiano, l’orientamento psicoanalitico riveste un ruolo fondamentale.
Le opere di rottura di Carl Gustav Jung
Una delle opere che segna la rottura con Freud è Tipi Psicologici (1912), nella quale Jung descrive la struttura della psiche articolata in quattro funzioni, ovvero pensiero sentimento, sensazione e intuizione, e in due atteggiamenti fondamentali l’introversione e l’estroversione. Nei singoli individui domina sia un atteggiamento sull’altro (tipo introverso rivolto verso la vita soggettiva e tipo estroverso rivolto verso il mondo esterno) sia una funzione sulle altre tre.
Il tipo complementare non dominante e le funzioni non dominanti rimangono comunque attive a un livello inconscio in ogni individuo.
Avvalendosi di una vastissima serie di fonti filosofiche religiose e letterarie Jung poneva in evidenza come l’introversione o l’estroversione dei poeti filosofi scienziati del passato avessero originato visioni differenti del mondo.
Con Tipi Psicologici, insomma, si delinea una completa teoria della psiche denominata da Jung psicologia analitica, una concezione ben distinta dalla psicoanalisi freudiana.
Negli anni successivi, fino alla morte nel 1961, Jung approfondirà vari temi della psicologia analitica soprattutto sul versante dei rapporti con la teoria delle religioni, la cultura orientale, la mitologia e la storia dell’alchimia.
Il concetto cardine di inconscio
Jung non esclude il concetto cardine di inconscio e lo rielabora profondamente attraverso la distinzione di inconscio personale e inconscio collettivo.
Nell’inconscio personale si trovano i materiali individuali, nel secondo quelli impersonali collettivi. In Tipi Psicologici Jung scrive:
“Possiamo distinguere un inconscio personale che comprende in sé tutte le acquisizioni dell’esistenza personale, dunque, cose dimenticate rimosse percepite pensate e sentite al di sotto della soglia di coscienza.
Accanto a questi contenuti inconsci personali esistono però altri contenuti che non provengono da acquisizioni personali ma dalla possibilità di funzionamento che la psiche ha ereditato cioè dalla struttura cerebrale ereditata.
Queste sono le trame mitologiche i motivi e le immagini che in ogni tempo e luogo possono riformarsi indipendentemente da ogni tradizione e migrazione storica. E questi contenuti io li denomino collettivamente inconsci.”
Le immagini primordiali o archetipi
L’espressione tipica dell’inconscio collettivo sono le immagini primordiali o archetipi.
Si tratta di immagini a carattere arcaico proprie di un’epoca o di tutta l’umanità che si manifestano, a livello individuale, nei sogni nell’immaginazione provocata e nei disegni liberi, e a livello collettivo, si concretizzano nei miti nelle fiabe e nelle opere d’arte.
Jung ha ribadito più volte che gli archetipi non sono contenuti o rappresentazioni inconsce ma sono delle forme che strutturano l’inconscio collettivo. Riporto qui di seguito quanto afferma nell’Io e l’Inconscio del 1928:
“Non si tratta di idee ereditate, ma di disposizioni da cogliere l’idea che sono organiche ereditate. Mi imbatto continuamente nell’equivoco che gli archetipi siano determinati da un contenuto siano cioè una specie di rappresentazione inconsce.
E perciò necessario rilevare ancora una volta che gli archetipi non sono determinati dal contenuto ma solo formalmente e anche questo in modo molto condizionato.
Si può dimostrare che un’immagine originaria (Urbild) è determinata da un contenuto solo quando è conscia e perciò riempire da materiale dell’esperienza cosciente.
La sua forma invece si potrebbe forse paragonare al sistema assiale di un cristallo che preforma in un certo senso la cristallizzazione nell’acqua madre, senza possedere in se stesso un’esistenza materiale.
Quest’ultima appare soltanto nel modo con cui si aggregano gli ioni e poi le molecole.
L’archetipo in sé è un elemento vuoto formale che non è altro che una facoltas praeformandi, una possibilità di rappresentazione data a priori.
Le rappresentazioni non vengono ereditate ma solo le forme che a tale riguardo corrispondono esattamente agli istinti anch’essi determinati formalmente.
L’esistenza degli istinti non può essere provata così come quella degli archetipi in sé fino a che non si manifestino in concreto”.
Inconscio e conscio
La psiche è composta, oltre che dall’inconscio personale dall’inconscio collettivo, dall’io che ne rappresenta la parte cosciente.
La dinamica tra componenti consce ed inconsce della psiche è vista da Jung come un percorso difficile(individuazione) che l’individuo affronta nella propria vita, per realizzare la propria personalità.
L’io si scontra con le organizzazioni archetipiche della personalità:
La Persona, ovvero la personalità pubblica come individuo appare società nel rispetto delle convinzioni e delle tradizioni, per Jung in realtà non è ciò che si è, ma ciò che gli altri credono che uno sia;
L’Ombra, cioè i comportamenti negativi istintuali che l’individuo rifiuta e nasconde in modo diretto o indiretto;
L’Anima e l’Animus, rispettivamente la personificazione della natura femminile nell’uomo e della natura maschile nella donna.
Allora è possibile definire questa personificazione come un insieme ereditario inconscio di origine molto remota innestato nel sistema organico; un archetipo sintesi di tutte le esperienze ancestrali intorno l’animo femminile e di tutte le impressioni fornite dalla donna.
Un sistema di adattamento psichico ereditario, che si esprime sia per l’uomo che per la donna.
Nella relazione dinamica tra l’io e l’inconscio personale collettivo sia attua il processo di individuazione di differenziazione della personalità individuale di realizzazione della propria personalità, in una compiuta totalità unità denominata Sé.
Il Sé è l’archetipo fondamentale della psiche; è la metà non sempre raggiunta a cui aspira la psiche individuale.
Nel processo di individuazione è stato colto un elemento di ulteriore differenziazione del pensiero di Jung dalla teoria freudiana. Il processo di individuazione mette in risalto l’idea di una crescita psichica proiettata verso il futuro. Confrontando le posizioni di Freud e di Jung, si può dire in linea generale che per Freud la vita psichica è predeterminata nei suoi stadi, nelle sue manifestazioni; è schiacciata tra le forze dell’Es e quelle del Super-Io.
La psiche
Per Jung la psiche è progettualità che ha spazi indeterminati. In altre parole si distanzia dalle posizioni deterministiche di Freud, nella misura in cui la teoria freudiana non può essere considerata una risposta assoluta e definitiva alle questioni della psiche.
Una teoria psicologica dipende in primo luogo dalla psicologia personale dell’autore; non si può assolutizzare il prodotto relativo di un singolo autore.
Questo ci porta ad affermare come la teoria di Jung relativizza il proprio teorizzare, lo rende indeterminato rispetto al proprio oggetto di indagine.
La sincronicità
Non posso chiudere queste pagine senza prima menzionare il concetto di Sincronicità, molto caro a Jung e che pone questioni ancora aperte dal punto vista scientifico, se riferito alle nuove teorie messe a punto dalla meccanica quantistica.
La Sincronicità sembra essere un trait d’union tra la divinazione e la scienza, tra il metafisico e l’immanente. Questo perché la divinazione pertiene alla sincronicità, e Jung spesso ha definito i fenomeni sincronici come fenomeni della parapsicologia.
Quello che ho appena tratteggiato è un concetto fondamentale poiché la scienza moderna, i fisici e gli psicologi stanno provando a trovare l’unione di fisica e psicologia proprio nel campo dei fenomeni parapsicologici.
In altre parole, il conato scientifico mira a collegare anima e materia, a trovare il collante capace di collegare simultaneamente glia avvenimenti. Nella divinazione, e più specificamente nella divinazione numerica si può dunque avere a che fare con i fenomeni parapsicologici, che sono altresì collegati ai numeri.
Jung ha chiamato il numero l’espressione più primitiva dello spirito, laddove il concetto di spirito è utilizzato come una qualche sostanza non materiale, l’opposto della materia, che contiene un principio psichico spontaneo di movimento e attività.
Lo spirito è quella cosa sconosciuta nell’inconscio che organizza e manipola le immagini interiori, nel contesto di una dinamica interattiva causale tra la linea fisica e psichica che oggi si sta studiando, su uno sfondo di possibilità o di probabilità.
Quest’ultimo concetto merita una lunga trattazione a parte, dal momento che presenta una complessità, che richiedere approfondimenti più dettagliati ed argomentati. In “La natura della Psiche” Jung cerca una correlazione tra l’energia psichica e l’energia fisica, sostenendo come esse siano due aspetti diversi di una stessa cosa, e che perciò l’energia che si manifesta qualitativamente contenga un aspetto quantitativo latente e viceversa.
I fisici moderni, per esempio, dicono che un salto quantico – il salto che porta alla frequenza di un elettrone su un’orbita più esterna- modifica la struttura dell’atomo, non solo in senso quantitativo ma anche qualitativo.
Perciò, non è possibile separare davvero la quantità e la qualità: sono concetti mentali complementari, da accogliere in una nuova Weltanschauung, una nuova concezione della realtà e dell’essere nella sua dimensione fenomenologica e ontologica. E’ la magia della mente umana che da sempre riesce ad incantare poeti, scrittori e scienziati.
Si veda:
Marie-Louise von Franz, Divinazione e Sincronicità
Luciano Mecacci, Storia della Psicologia del Novecento
Jung, Scritti Scelti e presentati da Joseph Campbell