di Diego Vian
Quella che vorrei proporre è una riflessione che ci vede coinvolti tutti, come esseri umani e sociali, e che prescinde dal ruolo, dallo stato sociale, e da qualsiasi altro elemento identificativo che ci distingue gli uni dagli altri, dal punto di vista culturale, religioso, sessuale, e da qualsiasi altro epiteto attribuibile all’uomo nella sua più stretta dimensione ontologica.
Il tema della violenza ricorre nella nostra quotidianità avvolto nei vari contesti che frequentiamo, dalla famiglia, alla scuola, ai luoghi pubblici, ai contesti ludico-sportivi, ai media, laddove ci siano situazioni di confronto tra persone o interessi di parte, capaci di contrapporre gli uni verso gli altri.
E non assumo posizioni di parte nel mettere in luce le azioni belliche che occupano interi spazi sia delle trasmissioni televisive che della carta stampata, che di giorno in giorno, di ora in ora, ci aggiornano sull’onda distruttiva che gli uomini sono in grado di perpetrare, indifferenti ed incuranti delle vittime che provocano, siano esse bambini, anziani, malati ed innocenti, spesso inconsapevoli dell’assurdità che li vittimizza e non dà loro via scampo, propongo solo una riflessione.
Il concetto di Violenza
Il concetto di violenza, nella sua struttura semantica inconfondibile, rispecchia una realtà fenomenologica, in seno alla quale sono continue ed incessanti le occasioni per manifestarsi con intensità e pericolosità di diverso grado. Inquietano i livelli di allarme assunti dalla violenza di genere ed in particolare quella legata ai femminicidi, che nel nostro paese sembrano assumere la caratteristica di atti emulativi, compiuti da uomini convinti che l’uccisione delle loro compagne sia l’unico modo per rivendicare una loro proprietà inalienabile.
Mi limito a citare il caso di Giulia Cecchettin, che tanto scalpore, disperazione, rabbia ed indignazione ha sollevato, e che non ha arrestato questa forma di ferocia che di giorno in giorno si annuncia come una macabra consuetudine a cui il maschio non sa rinunciare.
E tanta è la violenza che si consuma dietro le pareti domestiche, nella quotidianità, che ci sembra fluire con normalità, e che cela in sé atti distruttivi di cui siamo all’oscuro, o spesso ignoriamo. Non mi riferisco solo alla violenza fisica.
Anche la parola, lo sguardo, un gesto sanno essere distruttivi, perché forieri di forza umiliante, che scalfisce la dignità dell’altro. E quella psicologica ritengo essere una violenza che nel suo non palesarsi in lividi ed ecchimosi, può ferire in profondità l’animo umano, spesso con conseguenze molto gravi.
Una riflessione sulla viol-azione
Anche la sfera psichica in altre parole è soggetta alla viol-azione di atti verbali, diretti a colpire l’altro in molte occasioni con atti che la mente scolpisce nei suoi magazzini di memoria, e che nel tempo possono lasciare tracce indelebili; la parola sa ferire pesantemente, e per questa ragione mi arrogo il diritto di ribadire come all’inviol-abilità del corpo debba far eco l’inviol-abilità dell’anima, le due dimensioni connaturate in un unico corpus vivendi che supera il dualismo cartesiano di Res Cogitans e Res Extensa, e si estrinseca in tutta la sua profondità ed importanza. Il dolore fisico e quello mentale hanno lo stesso valore, molto spesso sono congiunti, perché frutto di un’unica eziopatogenesi.
È questa la ragione che mi permette di sollevare un accorato appello contro il bullismo, e le discriminazioni a scapito delle diversità di qualsiasi orientamento; contro l’indifferenza verso l’Altro e la sua sofferenza; contro l’assenza di empatia che intrude nelle relazioni umane atrofizzandole e cementificandole in posizioni ostili; contro il dolore perpetrato agli animali e al loro diritto di condividere il diritto ad esistere; contro l’ambiente che ci ospita e ci permette di vivere, e che stiamo straziando avidamente, spinti da un ego anelante ad una continua volontà di potere e di dominio.
Un quadro a tinte fosche
Non mi sottraggo dal definire tutto questo un quadro a tinte fosche, che tuttavia può essere l’occasione per creare nuovi presupposti culturali, in grado di farci virare individualmente e collettivamente verso un futuro migliore, poiché, se da un lato il cambiamento deve germinare ed evolvere nel singolo individuo sociale, dall’altro è imprescindibile il ricorrere ad un’attitudine sinergica mirata ad un obiettivo comune.
Questa la premessa, forse ridondante, per ribadire il ruolo fondamentale dell’educazione e della conoscenza. In primis il ruolo della famiglia, sia essa tradizionale, mono o omogenitoriale. E le istituzioni formative e culturali, in primis la scuola, che non può esimersi dal fornire, sin dalle prime classi, gli strumenti per forgiare l’essere umano con sani valori.
Gli studi di Albert Bandura
Sono universalmente conosciuti gli studi di Albert Bandura (1925-2021) e i suoi esperimenti con il pupazzo Bobo. Psicologo statunitense di orientamento socio-cognitivo Bandura raggiunse la notorietà grazie agli studi sull’aggressività infantile, frutto di comportamenti emulativi acquisiti osservando il comportamento degli adulti. Questo mi induce ad affermare con buon margine di precisione, che se i comportamenti distruttivi possono essere appresi, anche quelli costruttivi possono subire lo stesso destino.
La tolleranza, il rispetto reciproco, la condivisione, in altre parole, possono e dovrebbero essere oggetto di apprendimento sin dalla più tenera, nei diversi contesti sociali.
Non credo ci sia motivo di escludere l’infanzia dal principio kantiano del Sapere Aude[1], che implica la responsabilità dell’uomo di uscire dalla sua condizione di inferiorità grazie alla conoscenza, che nei bambini si può declinare nel conoscere l’altro nella sua diversità ed alterità tramite il gioco, capace di favorire l’integrazione, grazie alla condivisione di regole e alla reciproca collaborazione.
La Gnosis
La Gnosis dovrebbe guidare tutti gli esseri senzienti a conoscere l’altro, liberandolo dall’ignoto che rischia di relegarlo all’emarginazione, perché possibile minaccia all’integrità del singolo. Perché allora non parlare di alfabetizzazione emotiva, che non può non presupporre la conoscenza dell’altro nella sua complessità e nei suoi bisogni più specifici?
La violenza, ahinoi, si insidia strutturalmente anche nelle situazioni più comuni, dove assume i tratti dell’indifferenza verso l’altro e delle sue necessità, come il non cedere il posto a sedere ad un anziano all’interno di un autobus affollato; il non spegnere la sigaretta in presenza di persone infastidite dal fumo, o più semplicemente non chiedere scusa per aver commesso un torto a qualcuno. Mi limito a questo, ma la lista potrebbe essere molto più lunga.
Il lavoro che ci aspetta è molto ed impegnativo. La mia è una riflessione che si rivolge al mondo adulto e convinto che gli esseri umani siano in grado di operare, grazie alla conoscenza tout court, a favore di un mondo civile, che non ha lo scopo di estirpare le radici della violenza, bensì di agire nel migliore dei modi per prevenirlo.
Dopo tutto anche il Sommo Poeta Alighieri, secoli prima di Immanuel Kant, con la sua genialità e profondità etica non si astenne dal decretare come “Nati non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”.[2]
[1] Si veda I. Kant, Risposta alla domanda: Cos’è l’Illuminismo, ETS Edizioni, 2014
[2] D. Alighieri, Divina Commedia, Canto XXVI dell’Inferno.